Pillole di psicologia: “Sono solo parole? Eppure possono ferire o guarire”

Pillole di psicologia

 

Sono solo parole? Eppure possono ferire o guarire

 

Stai attento ai tuoi pensieri, perché diventano parole.

Stai attento alle tue parole, perché diventano abitudini.

Stai attento alle tue abitudini, perché diventano carattere.

Stai attento al tuo carattere, perché diventa il tuo destino”

Frank Outlaw

 

René Magritte, La Trahison des images, (Il tradimento delle immagini), 1928-29.

 

Si osserva spesso nel quotidiano con quale leggerezza le persone utilizzano le parole, con scarsa attenzione e poca accortezza, come se fossero “solo parole”, e in tal senso innocue.

Si osserva spesso, anche in relazione alla disciplina della psicologia, lo sminuire la sua valenza proprio perché utilizza le parole come strumento di lavoro. Infatti, qualcuno pensa che rivolgersi ad uno psicologo per risolvere una problema di bassa autostima piuttosto che di scarsa gestione delle emozioni, non sia la scelta migliore, ritenendo che le parole non siano all’altezza del compito, oppure addirittura ritenendo che siano solo chiacchiere.

 

In realtà le parole sono molto più importanti di quello che si pensa. E per confermarlo basta soffermarsi a riflettere su alcune esperienze personali. Per esempio sull’effetto che hanno avuto su di noi alcune parole che ci hanno detto, oppure alcune parole che noi abbiamo detto ad altri, oppure, ancora, le parole che abbiamo detto a noi stessi nel nostro dialogo interiore. Si tratta di parole che anche a distanza di tempo ricordiamo benissimo, è come se si fossero inscritte in modo indelebile nella nostra memoria, e questo perché hanno avuto un grande impatto emotivo su di noi, e nel bene o nel male ci hanno colpito e ci hanno lasciato il segno. E ogni volta che riaffiorano alla nostra mente, portando con sé anche un’intensa carica emotiva, hanno il potere di cambiare il nostro umore e il nostro atteggiamento. Per cui diventa chiaro che:

 

“Le parole non sono solo parole, sono esperienze che ci toccano, ci segnano e ci insegnano a vivere”.

 

Del resto, noi esseri umani siamo gli unici esseri viventi ad aver sviluppato la capacità del linguaggio, dal momento che i primati ed altri animali, seppur abbiano sviluppato delle forme di comunicazione efficienti per inviare messaggi ai cospecifici, ma anche a membri di altre specie, non si possono assimilare al sistema linguistico della specie umana (Canestrari R., Godino A., 1997). E mentre per noi esseri umani la comunicazione verbale, che passa  attraverso l’utilizzo delle parole, è il nostro pane quotidiano,  per i primati ed altri animali la fa da padrone la comunicazione non verbale, che passa attraverso il corpo, ovvero, la gestualità, la prossemica, l’espressione facciale, il tono della voce e il contatto visivo. Ciò per confermare quanto le parole siano basilari per noi esseri umani, dal momento che tutto ciò che facciamo, pensiamo o proviamo lo nominiamo, e quindi passa attraverso le parole, ossia lo trasformiamo in un flusso di parole, che in altri termini diventa il racconto di noi stessi e della nostra vita.

 

Scrive Gorgia, uno dei più grandi sofisti della filosofia dell’antica Grecia, intensamente dedito alla retorica e alla dialettica: “Le parole sono farmaci. Alcune infondono coraggio e forza, altre avvelenano l’anima, la stregano”. Ebbene, oggi quest’intuizione del celebre sofista ha trovato conferma nei risultati della ricerca scientifica. Le neuroscienze si interessano ormai da oltre 50 anni al rapporto tra la mente e il corpo, tra pensieri e corpo, tra parole e corpo, e numerosi studi confermano la natura incarnata della mente. Per cui le parole e i pensieri non sono qualcosa che si genera al di là del corpo, come la cultura ha tramandato lungamente, ma si sviluppano nelle vie neuronali del cervello, e sviluppandosi nel cervello influenzano la produzione dei neurotrasmettitori, quelle sostanze che scambiano tra loro le cellule cerebrali per comunicare, e che determinano la nostra serenità piuttosto che la nostra tristezza, cioè il nostro benessere o malessere. Ciò vuol dire che, anche se non sembra, in realtà le parole sono fatte di materia corporea, si sviluppano nella materia cerebrale, e all’interno dei circuiti cerebrali influenzano le quattro principali attività della mente, pensare, immaginare, emozionarsi e provare sensazioni, ma anche i nostri comportamenti e atteggiamenti che sono altrettanto guidati dai comandi che invia il nostro cervello. Quindi si può benissimo dire che le parole hanno un enorme potere sulla mente e sul corpo, e in altri termini, sulla vita degli uomini.

 

Tra i tanti studi che ci propone la letteratura scientifica e che confermano il legame inscindibile tra mente e corpo, vorrei citarne uno trai più recenti, e che specificatamente si occupa del rapporto tra parole e corpo. Si tratta di uno studio condotto da alcuni ricercatori nell’ambito psicologico pubblicato nel 2017 sulla Rivista Psychological Science. In questo studio i ricercatori evidenziano che basta leggere o ascoltare una parola il cui significato rimanda ad una maggiore o minore luminosità per osservare dei cambiamenti nella dilatazione delle pupille. Hanno osservato, infatti, che la risposta delle pupille in relazione a parole che rimandano al senso della luminosità, come ad esempio “giorno”, è il rimpicciolimento, ovvero la contrazione, come a proteggere l’occhio da una luce intensa. Nel caso, invece, di parole che rimandano al senso dell’oscurità, come ad esempio “buio”, la reazione delle pupille è l’ingrandimento, ovvero la dilatazione. Nel caso, ancora, di parole neutre come ad esempio “casa”, che non rimanda a nessun senso rispetto alla luminosità, la reazione delle pupille è lo sviluppo di una misura intermedia di grandezza. In altri termini, questi ricercatori hanno evidenziato che l’occhio si predispone per una certa luminosità dell’ambiente, non solo quando si trova veramente in un certo ambiente, ma anche quando quell’ambiente viene soltanto nominato o evocato dalle parole. Quest’evidenza ha portato i ricercatori a ipotizzare che il cervello sviluppa automaticamente delle immagini quando legge o ascolta delle parole, le quali, a sua volta, predispongono il corpo a reagire in linea con lo scenario immaginato. Per cui si svilupperanno atteggiamenti e comportamenti per far fronte all’ambiente esterno così come è stato immaginato dalla mente (Mathôt S., Grainger J., Strijkers K., 2017).

 

Tutto ciò è molto rilevante da un punto di vista psicologico rispetto all’importanza delle parole con le quali ci si confronta quotidianamente, soprattutto in relazione a quelle parole che costituiscono il nostro dialogo interno, ovvero quelle parole che noi diciamo a noi stessi e con le quali ci raccontiamo chi siamo e com’è la nostra vita.

Immaginiamo cosa accade quando il dialogo interno di una persona è rappresentato da un continuo rimuginare rispetto alle cose spiacevoli che sono accadute durante la giornata, oppure ancora di più durante la propria vita. Questo parole che riecheggiano nella mente, non sono solo parole, e come tali innocue, ma sono l’atmosfera della mente, che poi diventa umore e che poi diventa comportamento. È importante avere consapevolezza di questo meccanismo, è l’opportunità di favorire e proteggere il proprio benessere psicofisico, monitorando ed eventualmente modificando le parole che circolano nella propria mente e che la “avvelenano” invece di “nutrirla”.

 

Il compito principale del cervello è lo stesso di tanti altri organi del nostro corpo, garantirci la sopravvivenza adattandoci alle circostanze da affrontare. Il cervello svolge questo compito attraverso la ricezione di informazioni dall’interno o dall’esterno del corpo, elaborando risposte e inviando queste risposte ai vari distretti del corpo che le trasformano in azioni. Tutto questo il cervello lo fa a prescindere dalla nostra volontà, è un meccanismo che svolge in automatico in ogni momento. E anzi, quanto più il contenuto del suo lavoro ha a che fare con la programmazione di azioni per affrontare circostanze avverse, quanto più sta svolgendo bene il suo compito, perché in questo modo ci garantisce meglio la sopravvivenza.

 

Il problema qual è?

 

Il problema è che il cervello, per quanto sia un organo straordinariamente meraviglioso, non è perfetto, e come tutti i componenti della natura ha i suoi limiti. Il limite più grande del cervello è che dà per buono che le informazioni che gli pervengono siano realtà, non discernendo se siano solo ipotesi immaginate o realtà tangibili, per cui elabora le sue risposte a prescindere che si tratti di immagini o di fatti reali, e questo può generare per esempio una messa in allarme per nulla, oppure un rattristamento per nulla.

 

Ma niente paura, per fortuna a questo c’è un rimedio.

 

Ecco in nostro aiuto una delle nostre più grandi abilità, la “consapevolezza”, la capacità di prendere coscienza delle informazioni che circolano nella nostra mente e filtrarle attivamente, senza lasciare che il nostro cervello scelga automaticamente per noi. Poiché lasciarlo fare vorrebbe dire lasciarlo focalizzare su ciò che è più negativo, realtà o immagine che sia, visto che la sua funzione è garantirci la sopravvivenza e la svolge al massimo quando ci preserva da mali o pericoli. Il cervello è un organo meraviglioso, ma bisogna tenere conto dei suoi limiti e accettarli, solo così è possibile fare del nostro meglio. Fare in modo che la “consapevolezza” possa aiutare il cervello a elaborare correttamente le informazioni e a raccontarle nel modo migliore, con parole che ci portano benessere e armonia, e non ansia o preoccupazione per nulla.

 

Daniel J. Siegel, psichiatra che dirige il Mindsight Institute della Università of California di Los Angeles, è stato un pioniere degli studi che hanno riconosciuto nella capacità di mindisght (vedere la mente) uno strumento di benessere psicologico. Secondo l’autore, infatti, è importante monitorare l’attività mentale, e attivamente favorire che sia integrata, armoniosa ed equilibrata, altrimenti, con un atteggiamento passivo si correrebbe il rischio di essere sopraffatti e schiacciati da una spiacevole atmosfera che si potrebbe instaurare nel nostro cervello. Del resto, le buone capacità del cervello possono essere compromesse dagli eventi e dalle esperienze della vita, e per questo diventa importante osservare ed essere consapevoli di come sta lavorando la nostra mente. Solo così si può intervenire e trovare un rimedio (Siegel D. J., Amadei G. Prunas A., 2010).

 

Per sottolineare l’importanza di monitorare le immagini che abitano la nostra mente possiamo prendere ad esempio un dipinto del célèbre pittore surrealista René Magritte, La Trahison des images (Il tradimento delle immagini), realizzato nel 1928-29, e riportato all’inizio dell’articolo. Il pittore raffigura una pipa e inserisce la scritta “ceci n’est pas une pipe” (questa non è una pipa), e così facendo contesta l’immagine stessa che ha raffigurato. Magritte con questo dipinto vuole sottolineare la differenza tra l’oggetto reale e la sua rappresentazione, che invece per la pittura classica avevano un legame indissolubile. In effetti, in linea con l’intento di Magritte, seppur nel dipinto ci sia la raffigurazione di una pipa, nessuno penserebbe che sia davvero una pipa, l’oggetto reale e la sua rappresentazione hanno funzioni, finalità e caratteristiche molto diverse. Lo stesso Magritte afferma: “Chi oserebbe pretendere che l’immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa” (Negri A., 1984, p. 53). Ebbene, quest’insegnamento di Magritte è molto importante per il nostro benessere psicologico, è l’invito a non prendere per buone tutte le rappresentazioni mentali che ci propone il nostro cervello, bensì a sondarle e verificarle, altrimenti potremmo rischiare di fare come dice un proverbio, “scambiare fischi per fiaschi”, e allora spaventarci per nulla o arrabbiarci per nulla.

 

 

Bibliografia essenziale

Canestrari R., Godino A. (1997), Trattato di psicologia, Edizione CLUEB, Bologna.

Mathôt S., Grainger J., Strijkers K. (2017), Pupillary Responses to Words That Convey a Sense of Brightness or Darkness, Psychological Science, Vol. 28(8) 1116-1124.

Negri A. (1984), René Magritte: il buon senso e il senso delle cose, Edizione Gabriele Mazzotta, Milano.

Siegel D. J., Amadei G. Prunas A. (2010), Mindsight. La nuova scienza della trasformazione personale, Raffaello Cortina Editore, Milano.

 

Fonte delle immagini

Web del 26 Aprile 2018. Fonte: http://www.artribune.com/wp-content/uploads/2017/07/Ren%C3%A9-Magritte-La-Trahison-des-images-1928-29.-Los-Angeles-County-Museum-of-Art-Los-Angeles.jpg